TMCC, Centro Culturale nell’isola di Sant’Erasmo

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Sospeso tra terra e mare, il paesaggio del progetto è la laguna di Venezia. Uno spazio ibrido, ambiguo, costruito di fluidità che tuttavia è possibile misurare, incidere, tracciare con mille piccoli segni, occupare con la definizione di bordi, che è possibile usare come risorsa. E’ il paesaggio di un viaggio fisico e mentale attraverso un territorio risparmiato alle incursioni della speculazione edilizia che ha investito l’Italia recente, dove il progetto per l’isola di Sant’Erasmo diventa paradigmatico nel tentativo di ripensare lo spazio della laguna come una grande risorsa per la città di Venezia. Collocata nell’area nord della laguna di Venezia, l’isola di Sant’Erasmo è parte di un sistema insulare complesso, di cui è l’elemento di maggiore dimensione con una superficie di 325 ettari. Sant’Erasmo è elemento ambiguo all’interno del sistema della laguna, da sempre al centro di dibattiti e sperimentazioni idrauliche, essendo collocata in una zona di confine. Un tempo porzione del cordone litorale che difendeva la laguna dal mare, prima della costruzione dei lunghi moli foranei, l’isola conserva ancora le caratteristiche di questa antica vocazione non solo per l’immagine costituita da una striscia di cordone litorale sul lato sud-est che fronteggia verso la laguna l’affollato ‘bacan’, una sorta di spiaggia instabile, meta estiva di molti veneziani, ma anche per la struttura insediativa e della vegetazione. L’alta densità dell’uso agricolo del suolo è la caratteristica saliente dell’isola. Sulla struttura omogenea delle coltivazioni, sono tracciate le importanti incisioni della difesa militare ottocentesca che, a partire dalla caduta della Repubblica, ha fatto di Sant’Erasmo uno dei capisaldi del processo di ‘territorializzazione’ militare della laguna. Si tratta di un sistema puntuale composto da circa settanta strutture di presidio distribuite sulle isole o isole esse stesse. Il progetto complesivo per l’isola mette in evidenza la lettura delle diverse strutture insediative di Sant’Erasmo per rintracciare i fili tesi e spesso invisibili tra paesaggio di acqua e di terra, edifici e storia militare nella volontà di offrire una voce a quella armatura urbana e agricola che costituisce l’identità di questa porzione di suolo e restituisce, con i due progetti di trasformazione dei limiti sud-ovest e nord-ovest di Sant’Erasmo, un sistema di infrastrutture che offrano uno ‘sguardo’ rinnovato all’interno del parco della laguna nord. Il limite sud-ovest: il forte, la Torre Il progetto di restauro del complesso sistema definito dalla Torre Massimiliana, dai suoi terrapieni, dalla darsena, dall’approdo pubblico, dalla spiaggia e dal paesaggio agricolo che tra questi elementi si insinua, ha come obiettivi principali: la conservazione del monumento come testimonianza tipologica e costruttiva di un’importante e unica opera di difesa militare in laguna e la conseguente restituzione delle matrici compositive originarie dello spazio dell’edificio all’interno del paesaggio; la costruzione di un sistema di infrastrutture che permetta oggi il funzionamento di questi stessi spazi, offrendo ruoli specifici, ma complementari a tutti gli elementi di nuovo impianto. L’idea è quella di individuare un principio che nuovamente connetta la torre al paesaggio. Costruiamo un nuovo volume, disegnato ed inserito nel tratto di terrapieno mancante dove possono facilmente essere ospitate le centrali termiche, i gruppi frigoriferi, ma anche servizi per la spiaggia, liberando la torre da questi usi ritenuti incompatibili con la spazialità originaria dell’edificio. Verso l’esterno il volume è disegnato da una serie successiva di linee orizzontali: il tetto in piombo privo di grondaia, la scansione omogenea delle aperture, ricavate sotto lo sporto ligneo della copertura e, infine, la superficie orizzontale della ghiaia che costruisce una linea di luce prima dei piani erbosi inclinati su cui proiettano le loro esili ombre i parapetti del nuovo ponte. All’interno, in continuità con lo zoccolo in pietra, si costruisce il rivestimento in doghe di larice lasciate maturare dal sole, dalla pioggia, dalla nebbia e dalla neve, verniciate solo successivamente e posate come scandole di legno. Il tema del cantiere di restauro riguarda invece l’imponente struttura muraria dell’edificio. Dove era possibile ritrovarle sono state ripristinate le tracce originarie. In nome della necessità di non perdere la bellezza della massa costruttiva in laterizio, il progetto rinuncia a suddividere in pianta gli spazi, a forzarli agli usi di servizio e tecnologici inserendovi servizi igienici, caldaie o gruppi frigoriferi. Rinuncia anche a scalfire la benché minima porzione di quegli stessi muri per farci passare gli impianti. E’ il muro il protagonista dello spazio. All’interno della corte, il progetto disegna una scansione trasparente di linee d’ombra e di luce attraverso pannelli in doghe di iroko massiccio sagomati sulla curvatura del fronte. Si ottiene una lavorazione della materia che procede alleggerendosi verso la copertura e che termina con le linee orizzontali del parapetto metallico superiore. Il principio di salvaguardia assoluta della struttura muraria da qualunque ingerenza impiantistica in grado solo di opacizzare la forza dello spessore e della tessitura costruttiva dei muri di mattoni, riversa su un diaframma orizzontale (il solaio) e verticale (la parete di tamponamento verso la corte interna), la responsabilità del funzionamento dei locali. Una sottile struttura metallica di pilastri a sezione circolare su cui si imposta un sistema di travi a C accoppiate ospita, all’interno di controsoffitti in legno, trattato con impregnante scuro, la ricchissima rete impiantistica: illuminazione del piano terra con un sistema fisso di faretti incassati nella parte mediana e corpi illuminanti orientabili nelle zone laterali, riscaldamento, condizionamento, impianti elettrici, cablaggio, rivelazione fumi ed antintrusione. Un ulteriore esile diaframma in legno disegna le tre campiture del grande serramento che ospita gli impianti di illuminazione del primo piano dove la luce radente rende protagonista dello spazio la vibrazione della tessitura costruttiva del sistema voltato a curvatura e sezione variabili. La scala a chiocciola conduce alla terrazza dalla quale lo sguardo può correre sui diversi paesaggi dell’isola. Una volta ripristinato il sistema di smaltimento delle acque sul modello originario talché non fosse necessario inserire nuove grondaie o pluviali, sono state ricostruite le sezioni originarie di contenimento dei terrapieni erbosi, ripristinata la pietra di appoggio dell’antica rotaia e completate, con nuove pietre a finitura sabbiata e dal disegno semplificato, le porzioni mancanti. Della superficie in terra battuta che un tempo copriva una porzione della terrazza sono stati mantenuti i principi di omogeneità e colorazione superficiale utilizzando il moderno impasto di cromofibra, cemento ed inerti a spacco.

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